Non voglio entrare nel paradiso dei normali. Preferisco di gran lunga il mio inferno personale!

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I compitini di un poeta

Essere un poeta è forza.
È imprimere i miei sentimenti nei sensi degli altri.
È donargli quel frammento di ricchezza interiore
che da tempo vanamente cercavano.
Mi piace sentirli nelle mie mani,
indirizzarli nei vicoli oscuri dei miei ragionamenti
pensarli come bimbi innocenti bisognosi di essere svezzati
verbalmente.
Mi piace trascinare nei miei dubbi le loro sicurezze.
Mi piace donargli tutte quelle speranze che hanno lasciato
sul fondo degli occhi di donne e uomini che non li hanno mai
capiti.
Mi piace essere un po’ balia un po’ puttana.
Dargli dell’amore materno e poi
nutrirli del sesso a pagamento della vita.
Mi piace non dovere metterli al corrente
della mia messa a nudo costante
e allo stesso tempo togliermi i veli della
purulenta verità che tanto mi “piace”!
Mi diverte esortarli contro la vana
esorcizzazione della paura che tanto l’inquieta.
Mi esalto nel mio gioco da sadico
impenitente prosciugatore di pozzi di parole
lì, in villaggi dove regna il sole del deserto verbale.
Dove loro, i miei affamati di lettere
tentano di attingere con bicchieri bucati
dalla cornucopia vibrante dei succhi tropicali dell’alfabeto.
Mi appresto a donarvi il mio epatico BURP
con tanto di riflusso verso l’alto di metriche dannate.
Mi sostiene l’idea di farvi danzare, viaggiare in tondo
sui miei fogli, intrappolarvi nei ritmi
sonori vorticosi e ripetitivi delle mie pagine.
Spirali auree in rapporto continuo e costante.
In giusta proporzione col mio mondo:
sono io quella giustezza tra l’intero ed il suo rimanente.
Mi rende euforico il sapervi disarmati
di fronte alla mia solidale presa di posizione
nei confronti di un amore che molto spesso non da
ma che va sempre difeso e conquistato.
Che va sempre rinnovato e rinvigorito
per non farsi prendere in controtempo
quando finalmente esso viene.
“Il giorno dell’amore viene come un ladro nella notte”.
Non era proprio così ma mi diverte
distorcere le vostre parabole evitando in tal modo
di farvi vedere i canali più insulsi
di questa apparente vuota esistenza.
Mi soddisfa sentirvi partecipi del mio dolore
e di rincuorarvi proprio perché sto male.
Mi sento come un Dio di quart’ordine che per voi
crea in continuazione inutilità che lascian segni nei secoli.
Essere un poeta è dotare altri
di mondi immaginari nei quali essere
schiavi o re, sognatori o terribili realisti attaccati alla sostanza.
Essere un poeta è fare i compitini alla fine
della giornata.
Tirare la carretta fino al prossimo pit stop
in cui fare il rifornimento, il pieno esistenziale
ogni anno bisestile.
Quei cicli che si aprono e si chiudono
sono segni di un tempo in cui mi sento ridondante.
In cui vago tra voi e me senza avere mai
riferimenti di nessuna sorta.
Senza avere punti fermi umani che mi aiutino
a sostenere la tesi di questa mia rotta turbolenta.
Disegnata sulla mappa della vita a tratti.
Trattata come fosse la strada del pazzo sulla quale
nessuno vuole intervenire con la propria presenza.
Essere un poeta è darvi tutto l’amore possibile
che molte volte mi viene in-giustamente negato.
Trasformare per voi la solitudine
nei raggi luminosi perforanti le oscurità
dei tempi moderni
è il mio lavoro talvolta alienante
che mi concede rare ma infinite
gratificazioni!